Non facciamoci illusioni
La Bce ha parlato con chiarezza, ora dobbiamo esserlo noi

Il problema economico finanziario dell’Italia non è tecnico, ma squisitamente politico. Si tratta di sapere se siamo in grado di ottenere la fiducia dei partner europei, della Bce e dei mercati finanziari.
Ognuno di questi tre soggetti può far fallire qualunque aspettativa e speranza di flessibilità possa avere il nostro governo.
Si confida molto in Draghi, ma il governatore, già impegnato forse, al limite del rispetto formale dei trattati, potrebbe offrire ulteriori margini di intervento sulla massa monetaria in circolazione solo se i paesi virtuosi del nord non gli creeranno ostacoli insormontabili. Cosa che sono, in realtà, riluttanti a fare; tanto che davanti al rischio che il governo italiano non riesca a centrare gli obiettivi di un deficit di bilancio pari al 2,6% del Pil nel 2014, il ministro Padoan ha confermato nella riunione informale dell’Eurogruppo che l’Italia intende rispettare gli impegni. Padoan non ha cercato attenuanti e ha spiegato che il target del deficit al 2,6% era “un obiettivo compatibile con un quadro macroeconomico diverso” da quello visto a distanza di sei mesi; siamo però curiosi di sapere attraverso quali interventi egli pensa, nonostante tutto, di garantire il rispetto dei vincoli di deficit. Mentre Eurotower chiede al Governo uno sforzo per una riduzione significativa del debito sovrano, Padoan afferma che la legge di stabilità, “per definizione”, dovrà avere un impatto positivo sulle grandezze macroeconomiche.
A Cernobbio c’era parso che Padoan avesse lasciato intendere che la situazione economica stesse andando meglio, ma evidentemente avevamo capito male, oppure Padoan si è ricreduto tempestivamente. Auspichiamo nel contempo una chiara e definita posizione del Premier Matteo Renzi, che mentre conferma l’impegno dell’Italia a rispettare i vincoli di bilancio, contestualmente sembra voler affidare molte delle speranze al piano d’investimenti di 300 miliardi prospettati dal presidente Junker quando lo stesso era in attesa di ricevere l’investitura ufficiale da parte dei governi nazionali. Il provvedimento in questione è certamente positivo, ma gli effetti attesi non avrebbero luogo prima di almeno 24 mesi dall’avvio effettivo ed operativo degli interventi. Se la ricetta ipotizzata dal Presidente del consiglio si fonda su ciò, allora davvero non avremmo molte speranze e possibilità concrete di uscire dalle secche in cui ci siamo incagliati.
Ha spiegato bene tutto ciò Mario Draghi, quando ci dice che “non c'è nessuno stimolo monetario, e di fatto nessuno stimolo fiscale che tenga se non affiancati dalle giuste politiche strutturali”.
Infatti le regole per aiutare la crescita ci sono già, e non c’è ragione per cambiarle; il timore della Bce è che mentre la Francia, seppur riottosamente, si adegua; e la Spagna addirittura si è già adeguata, ottenendo buoni risultati, l’Italia al dunque continua a girare a vuoto, invocando la solita ed impossibile, allo stato dei fatti, maggiore flessibilità. Renzi vuole che l’operato del Governo venga giudicato alla fine naturale della legislatura (fra mille giorni): tutto questo ha anche un senso logico, ma solo se il Governo saprà indicare una strategia, un percorso, una politica credibile e conseguente.
È pur vero che nei trattati UE è prevista una maggior comprensione per i paesi in difficoltà in periodi critici di congiuntura, ma qui non si tratta più delle regole cartacee, ma del giudizio dei mercati finanziari. E il giudizio dei mercati su un Paese che endemicamente si è mostrato incapace di fare le riforme, e ancor meno i tagli necessari alla spesa, quale che sia il presidente del Consiglio in carica, sarà spietato. Per cui non facciamoci illusioni. Senza una strategia di politica economica adeguata che preveda riforme strutturali, tagli di spesa pubblica, investimenti privati, e detassazioni, il Paese finirà ineluttabilmente a gambe all’aria.

Roma, 12 settembre 2014